Qualche riflessione, a mente fredda, su Tokyo2020

di Piero Giuseppe Goletto

Le Olimpiadi di Tokyo – che sappiamo bene essersi concluse con un risultato da record: 10 ori, 10 argenti, 20 bronzi – ci hanno consegnato momenti di profondissima umanità, e tale lascito non è meno importante delle medaglie. Mauro Nespoli, arciere, ci ricorda comunque che “vincere è l’eccezione”.

Tra le storie umane vi è certamente la conclusione di carriera di Federica Pellegrini, che giunge alla sua quinta finale e che solo per questo meriterebbe una medaglia d’oro alla carriera. Un discorso analogo si può tranquillamente fare per Aldo Montano.

Ci riferiamo anche al gesto di grande classe del doppio oro di Tamberi e Barshim. Abbiamo letto sui social diversi commenti che criticavano aspramente la scelta di un oro condiviso. Senza retorica: uno spareggio non avrebbe aggiunto nulla perché la competizione ha dimostrato che Tamberi e Barshim sono i migliori nel salto in alto ed avendo saltato la stessa misura sono a pari merito. Non ha senso quindi individuare a ogni costo un secondo posto. In più, il gesto dello scambio delle medaglie sul podio rappresenta l’essenza stessa dello spirito olimpico: il riconoscimento del valore dell’avversario, che è tale solo per il tempo della gara.

Nello stesso tempo vorremmo onorare Artur Naifonov e Zaurbek Sidakov. Bambini, furono sequestrati a Beslan, in Ossezia, in quella vicenda tragica che fece oltre 330 vittime. Oggi fortunatamente ritornano sulle pagine dei giornali per motivi assai più piacevoli, per loro e per tutti.

 

Ugualmente vorremmo ricordare la storia di Simone BIles, alla quale accade di provare un terribile senso di vuoto durante una competizione. Simone Biles è una ginnasta, questo senso di vuoto – si legge - è  come una improvvisa dissoluzione del senso dello spazio, una perdita di consapevolezza della propria presenza. Tutto ciò dimostra come alle Olimpiadi gareggiano esseri umani che si confrontano con i propri limiti cercando di superarli e andare: Più in alto, Più veloce, Più forte, Insieme. Ma è anche il caso di dire che la retorica dell’atleta-superuomo, se mai poteva reggere in passato, ora non regge più.

Queste Olimpiadi hanno dimostrato che sì, siamo una nazione che ha una Nazionale di calcio campione d’Europa; ma abbiamo campioni in sport a cui i media dedicano meno spazio e che dati i risultati sportivi non possono essere considerati minori.

Servirebbe ad esempio legare ancora più fortemente l’aspetto prettamente sportivo agli aspetti culturali e di civilizzazione legati allo sport. Ad esempio, potenziare l’attività sportiva a scuola (entro cui veicolare un’idea di rispetto per “l’altro” ed essenziali concetti di alimentazione sana e tutela della salute).

Servirebbe recuperare tutte quelle situazioni e quegli spazi che consentono di creare una cultura sportiva diffusa sia dal lato dei praticanti sia dal lato del semplice appassionato che, come tale, vede negli eventi sportivi un’occasione di aggregazione sociale; così come dal lato del commentatore o dell’analista. Quest’ultimo aspetto assume a parere di chi scrive particolare importanza considerando che “commentatori” siamo tutti, quando scriviamo sui social, e pertanto non si tratta di qualcosa che è appannaggio dei soli giornalisti. L’analista a cui facciamo qui riferimento è una figura che “lavora coi numeri” per rendere intelligibile l’andamento di una gara (al pubblico) o per aiutare l’atleta all’allenatore a migliorare le prestazioni.

Le medaglie di Tokyo nascono nelle società sportive dilettantistiche che sono la parte più vera del movimento olimpico e che vanno difese a qualsiasi costo, benché i campioni provengano in gran parte dai gruppi sportivi militari che offrono un reddito sicuro agli atleti. Leggiamo su Wired: “A Tokyo hanno per esempio partecipato 129 “atleti militari” appartenenti ai quattro corpi: Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri. A questi vanno aggiunte le Fiamme Oro della Polizia o le Fiamme Gialle della Finanza, 48 elementi che hanno vinto 11 medaglie.” Non possiamo che congratularci con tutti loro, indipendentemente dai risultati sportivi conseguiti in Giappone.

Ah, a proposito. Arigato Tokyo. E mata kondo (alla prossima).