Lo sport italiano in crisi

di Alessandro Claudio Giordano

Un tempo il campo e la classifica definivano e regolavano le promozioni e le retrocessi delle competizioni sportive in una sorta di sentenza inappellabile.

Questo accadeva in tutte le discipline: passando dal calcio al basket al volley per finire con gli sports minori. Da anni però il nostro paese vive una grave crisi economica, crisi che ha inciso sulle attività sportive professionistiche inquadrate nel contesto del CONI e delle singole federazioni. Di fatto non ci sono più grandi investimenti, non si producono più utili, ed il basso livello del parco giocatori non consente più la produzione dei risultati sportivi di un tempo. Non c’è un problema riconducibile ad una causa sola, piuttosto dovremmo ragionare sul passaggio obbligato da una conduzione artigianale ad una manageriale. Il problema dello sport italiano è soprattutto questo. A dispetto del tifoso dovremmo allora metabolizzare una realtà in cui i risultati sono una parte degli obblighi societari, non più importanti di quanto lo siano il bilancio societario e la costruzione di un indotto che consenta lo stadio di proprietà, la pubblicità e e la diversificazione nella gestione del pubblico, non più limitato al palazzetto o allo stadio ma strettamente correlato ai media, così da essere supporters davanti ad una tv a ottocento, duemila o diecimila chilometri dallo stadio.

In buona sostanza le entrate, siano prodotto della azienda intesa come società (investimenti o plusvalenza) indotto pubblicitario in un sistema che si auto alimenta. Per fare questo serve cambiare e per noi questo cambiamento è una sorta di rivoluzione copernicana dal momento che molte delle realtà sportive non sono in condizioni, nostro e loro malgrado di programmare gli investimenti e quindi definire gli obiettivi. Eclatante è il caso calcio che in cadetteria (la Serie B) dove Cesena, Bari e Foggia lottano per non scomparire.

Per i romagnoli il rischio di fallimento è altissimo. Un tracollo finanziario quantificabile in 73 milioni di euro e una richiesta di pagamento rateizzato dei debiti è stata respinta. Il Bari il mancato pagamento degli stipendi già era costato due punti di penalizzazione, costringendoli a giocare il turno dei play-off fuori casa. Se il club biancorosso non riuscirà, entro fine mese, a pagare i salari dei propri giocatori si avvierà verso il fallimento. A chiudere i diavoli foggiani: crisi finanziaria ed una presunta richiesta di retrocessione da parte della procura federale. Per non parlare della Serie C dove abitualmente scompaiono due, tre, otto o più società per problemi di ordine finanziario. Il calcio è uno degli aspetti di più evidenti di questa crisi, diremmo la più evidente, ma da altre parti non si ride. Le soluzioni? Intanto limitare il numero di società per campionato (venti sono troppe per la Serie A e ventidue troppe per Serie B). Controlli puntuali (impossibile pensare come in dodici mesi il Cesena abbia perso 73 milioni di euro) rispetto a bilancio e solidità delle società. Per evitare che il pallone si sgonfi del tutto. Periodicamente visiteremo le maggiori federazioni raccontando ed analizzando dati alla mano prospettive e problemi….