Il livellamento dei risultati nella finale dei 100 metri piani ci ha stimolati a effettuare alcune ricerche. I 100 metri piani, che sono “la” gara di “velocità pura” dei Giochi Olimpici, sono una specialità di atletica leggera per gente veloce: il corpo lavora intensamente per un breve periodo di tempo (alle Olimpiadi meno di 10 secondi) e quindi ha un bisogno immediato di energia che prende da fonti già disponibili affinché dapprima il sistema nervoso reagisca velocemente e poi affinché le fibre muscolari si contraggano e si rilassino velocemente.
Tre elementi possono poi influenzare in modo significativo la prestazione atletica.
Il primo di questi è il vento. Avere nei 100 metri piani il vento a favore a una velocità di 2 m/s che è il limite internazionale per omologare il risultato conferisce 1/10 di secondo di vantaggio (e, ovviamente, avere il vento contrario a pari velocità rallenta di 1/10 di secondo). Prendendo in considerazione la finale dei 100 metri piani di Parigi 2024, stiamo parlando dell’arrivare primi o settimi.
Il secondo di questi elementi è l’altura perché al crescere della quota sul livello del mare l’aria si rarefà, poco ma si rarefà, e a una quota di 1.000 metri sul livello del mare questa differenza è stimata tra i 3 e i 4 centesimi di secondo. Dice: è poco. Torniamo sulla finale olimpica di Parigi. Di fatto, questa differenza è poco meno di quella tra Lyles, medaglia d’oro, e il nostro Jacobs, arrivato quinto.
Il terzo elemento è dato dalle scarpe. Qui seguiamo il sito correre.it, che ci fornisce alcune spiegazioni. In sostanza, alle Olimpiadi di Parigi è ammesso utilizzare calzature con plate in carbonio che funge da stabilizzatore e da ripartitori dell’energia d’impatto, che permettono di massimizzare l’accumulo e la restituzione di energia elastica. Sembra di capire che si ottiene un effetto leva che porta il piede a rotolare in avanti, come fosse un pneumatico.