SPORT E DISABILITA': MATTIA MARCHISIO RACCONTA LA SUA ESPERIENZA

di Alessandro Claudio Giordano

Sport e disabilità è un binomio che ha assunto con il tempo grande importanza perché ha saputo veicolare gran parte degli aspetti, tra gli altri l’inclusività ed il benessere psico fisico ed una di sorta di autorealizzazione. Ne ho parlato con Mattia Marchisio, vent’otto anni, atleta paralimpico in quanto affetto da spina bifida dalla nascita. Matty da anni è impegnato nello sport.Con lui abbiamo chiacchierato, raccogliendo impressioni, progetti ed idee.

D. - Tu hai precedenti importanti nell'attività sportiva: ciclismo e pallavolo. Cosa ti ha mosso verso lo sport?
R. - Diciamo che il ciclismo e ora il sitting volley (gioco per la Diasorin Fenera Chieri '76 sitting volley) sono solo la parte più recente e agonistica in realtà ho praticato parecchi altri sport non in modo agonistico, il mio primo approccio con lo sport in generale è stato nello sci sport che porto ancora nel cuore. Sicuramente a spronarmi e farmi iniziare è stata mia madre prima di iniziare ero molto "apatico" lo sci mi ha permesso di sbloccarmi e ad oggi non riuscirei a stare senza.


D. - Ricordi un momento importante in cui hai capito di aver raggiunto il tuo obiettivo?
R. - Ci sono due momenti per me magici, il primo quando ho vinto l'europeo U23 in handbike in particolare la premiazione, l'europeo era un corsa a tappa per cui anche se le aspettative c'erano in una corsa a tappe può succedere di tutto e durante la premiazione ho realizzato di aver raggiunto un obiettivo. Il secondo semplicemente in ordine cronologico è stato il primo allenamento di prova del sitting volley ero già un appassionato di volley provarlo rendendomi conto di riuscire a farlo e poterlo continuare, cosa non scontata per un paraplegico, è stato molto bello ed emozionante.

 

D. – Quanto tempo dedichi agli allenamenti?R. – Attualmente no dedico molto tempo ai miei allenamenti. Poco. Direi un’ora in palestra alla settimana ed un’ora e mezza circa per il sitting volley.D. - Possiamo dire che oggi lo sport sia inclusivo?
R. - In parte lo sport paralimpico è inclusivo prendiamo per esempio i miei 2 sport agonistici nell'hanbike esiste una categoria riservata ai normodotati che vogliono cimentarsi in questo sport, nel sitting volley i normodotati sono ammessi nelle squadre di club (l'importante è che ci siano sempre almeno 2 disabili in campo).
D. - Accessibilità all'attività sportiva e disabilità: quanto c’è da fare ancora per migliorare?
R. - Sull'accessibilità e l'inclusività si è fatto tanto ma secondo me si può e si deve ancora migliorare. Avendo respirato un po' di aria internazionale ho visto che altri paesi secondo me sono molto più avanti ma sono fiducioso.


D. - Che consiglio daresti a coloro che con disabilità vogliano iniziare attività sportiva?
R. - Il consiglio che posso dare a chi vuole intraprendere la strada dello sport paralimpico è quella di parlare con altri atleti, cercare la società che ci sembra migliore, non abbattersi ad eventuali difficoltà che si possono incontrare, ci sono molte realtà positive sul territorio italiano che lavorano molto bene.
D. - D. - Lo sport al di là del cronometro o dell'aspetto agonistico aiuta nella quotidianità, può essere inteso come percorso di crescita personale?
R. - Lo sport aiuta una persona a crescere ci insegna a rapportarci con altre persone e a superare i nostri eventuali limiti. Per me poi che sono agonista anche come modo di ragionare è importante però anche lavorare con la squadra per portare a casa il miglior risultato possibile non amo molto quando si usa dire che lo sport paralimpico è per noi motivo per socializzare, uscire di casa e passare il tempo anche questo ma per me questo passa un po' in secondo piano.